Confondersi con il cielo, l’acqua, la terra e divenire fango, parte di essa, parte di un creato che non smette mai di mostrarci la sua bellezza fino a calmierare la nostra anima dalle scosse della vita. Immergersi nei fumi acquatici prodotti da demoni ancestrali e lavare via ogni paura, ogni timore instillato da false mani curatrici. Questo è lo Zambia, lo Zambesi e le Cascate Vittoria. Fin da bambino ho ascoltato i racconti di questo mondo immenso, straniero ed alieno che è l’Africa. Era mia nonna che mi raccontava ciò che lei aveva vissuto nella sua infanzia africana. A casa spesso vedevo vecchie ed opache fotografie, di Tunisi, Tripoli, Addis Abeba, ma erano i racconti dell’Africa nera che ti tagliavano il fiato, quelli che avrebbero fatto nascere dentro di me una sindrome di Ulisse difficile da debbellare. Così luoghi come lo Zambesi e le Cascate Vittoria entrarono a far parte dei miei sogni. In seguito durante gli anni del liceo avrei appreso che l’emozione di scoprire luoghi leggendari, visitarli e estasiarsi di fronte alla potenza della natura, aveva un nome ben preciso, il sublime. Lucrezio, nel suo De Rerum Natura, descrive dettagliatamente cosa è il sublime. Trovarsi di fronte alla maestosità di un creato, seppur selvaggio ed a volte ostile anche all’uomo, produce la sensazione del sublime. Questa sensazione di meraviglia di fronte alla natura e di sentirsi parte di essa e non dominatori verrà poi ripresa dal Romanticismo dell’occento dalla letteratura, alla pittura ed alla musica. Sono sempre stato affascinato da questa visione e contemplazione della natura ed ho sempre ricercato il sublime, dalle brevi passeggiate nei boschi, ai grandi spazzi della savana africana, dalle traversate in barca a vela notturne alle fredde montagne ghiacciate. Il sublime è anche percorrere sentieri impervi sulle coste frastagliate dell’Ile d’Oussant, nel bel mezzo dell’impetuoso Atlantico, assieme a due improbabili compagni di viaggio; un rumeno ed un iraniano. Non ricordo neppure i loro nomi, ma quel giorno, sfidammo le onde assassine dell’Atlantico come se niente fosse, godendo di ogni raggio di sole che gentilmente ci baciava il viso e dividendo come fratelli il cibo che portavamo con noi. Durante questi anni di vita e lavoro in Africa ho incontrato un salesiano indiano Br. Walter, che conosce molto bene l’Africa australe, e quando ho avuto la possibilità di iniziare a lavorare con lui mi ha gentilmente condotto a visitare una delle meraviglie del mondo attuale. Br. Walter è una di quelle persone che ti mette in corpo gioia di vivere e di fare; “ Se sei felice, lavori meglio!” questa è una delle sue frasi. A volte cerchiamo forzatamente la felicità al di fuori di quello che abbiamo, che spesso è già tanto. Quando si vive molto tempo in Africa, questo strano mondo ti plasma a sua immagina e somiglianza, e le emozioni che ti attanagliano il cuore non ti lasciano più. Questi cambiamenti sono facilmente notabili, basta focalizzarsi nello sguardo altrui e Br. Walter ha nei suoi occhi l’Africa. Quindi è facile rapportarsi con lui, ci si capisce al volo, ci si comprende. E’ la medesima complicità di chi cerca il sublime provata molti anni fa sull’ile d’Oussant. Immergersi nelle Cascate Vittoria che esistono da millenni, è un bagno d’umiltà. La nostra vita è corta e fugace, siamo felici e lavoriamo per rendere migliore ciò che ci sta attorno. Il Dopo è una discesa ed un risalita, come l’acqua che scende all’impazzata dalla cima delle cascate fino nel profondo cratere per poi risalire fino in cielo divenendo fumo e morendo in un arcobaleno che raccorda tutto. Un cerchio, tutto torna. Se le cascate sono un luogo di caduta e ressurrezione, lo Zambesi è l’elemento che ti mescola con il creato. Navigare placidamente sul quarto fiume africano per lunghezza, osservarne le forme ed i suoi animali; come ippopotami, coccodrilli, uccelli di vario tipo, babbuini, elefanti, ghepardi….. è una immensa porta per sentirsi parte di qualcosa di più grande di noi. Ogni dettaglio depaupera il nostro ego, troppo spesso incensato e posto come prima necessità, come bene assoluto. In Africa australe i tramonti incendiano tutto il cielo, a guardarli si rimane ipnotizzati. Il sole sembra chiedere in tributo la tua anima per collezionarla e cucirla in questo paesaggio fatato. Il fardello dei sentimenti annega nel rosso cremisi e la convinzione di esser parte di un ecumenismo naturale permea tutto il tuo essere. Non c’è niente che può farci male, perché ancora una volta abbiamo scoperto e ammirato il sublime nel favoloso cielo carminio del giorno che muore e nelle fugaci danze aeree dei piccoli uccelli che sorvolano lo Zambesi. Oggi ancora una volta ci è concessa la possibilità di vestirsi da poeti, rincorrere il sublime sulle sponde del fiume, braccarlo e renderlo parte di noi stessi.