
Il giardino è pieno di orchidee, sugli alberi come sui vasi improvvisati appesi ai rami di queste essenze arboree tropicali. Dai piccoli fiori violacei, alle grandi bocche pigmentate di carminio e terra di Siena bruciata, per poi depositare il mio sguardo su piccoli screzi di carminio che feriscono enormi petali discendenti e decadenti. Un anziano uomo, un guardiano del creato se ne prende cura, osservandone meticolosamente la loro crescita e la loro morte.
Seguo P. Jean Paul, nei suoi viaggi quotidiani in questo giardino d’Africa che accoglie anche svariati uccelli, anche con loro l’anziano guardiano ha un rapporto speciale, portando ogni mattina dei piccoli pezzettini di scorza di formaggio e chiamandoli con un fischio forte e deciso. Un’armonia di colori, suoni e pensieri invade ogni giorno questo giardino, io mi ci addentro con dovuto rispetto e voglia di conoscere ed apprendere nuove cose, soprattutto notare le sfumature che svaniscono nel canto degli uccelli e nei petali delle orchidee che raggrinziscono. Tutto ha un legame, dalle radici delle orchidee che si avvinghiano ai tronchi ed ai rami degli alberi, al canto degli uccelli che pervade l’aria fino alla dedizione di P. Jean Paul che cura ogni angolo del giardino. Questo quadro impressionista, dove le parti si fondono e si sfumano continuamente, ha un’energia che permette questa girandola di colori ed emozioni, e viene dal di dentro, da ciò che profondamente siamo, l’essere parte di un universo che continuamente cambia. P. Jean Paul, sembra aver padroneggiato questa visione, e come un vecchio salice mi ricorda che nulla può turbarci se la felicità risiede nel nostro profondo, in quell’altrove che è distante da questo mondo, ma che si palesa nell’eufonia che si diffonde nel giardino. Regalo il mio tempo a questo cacciatore d’orchidee, aiutandolo a spostare i fiori da albero ad albero, ascoltando le sue storie e le spiegazioni di natura scientifica, che mi dischiudono nuovi mondi floreali e geometrici. Regalare queste manciate di minuti è come seminare un’arida parte della mia anima, mondarla e renderla fertile, aspettando che la primavera fiorisca dentro di me. Allora saprò riconoscere da dove proverrà questa felicità, riconducendola ai lassi di tempo trascorsi nel giardino ad ascoltare le storie delle orchidee. Le orchidee ci insegnano ad amare, a scoprire qual’è la forma corretta d’amare, esse esplodono nella loro bellezza donandosi ai nostri occhi e nutrendo vari insetti con il loro nettare, è un donarsi all’altro incondizionatamente, un donarsi totalmente, senza pensare di ricevere qualcosa in cambio, scordandosi di pretendere un nuovo dono, come se fossero fiori di Loto, come se la pura e vera bellezza fosse il solo donarsi. Accompagno P. Jean Paul a cercare altre orchidee, come un sapiente e silenzioso guardiano della foresta, ne segue le tracce, le riconosce in mezzo ad un’oceano verde. Ne raccoglie tre o quattro e mi invita a prenderne qualcuna da portare a casa mia, curarle e vegliarle aspettando che donino la loro bellezza. E’ un donarsi incondizionato, come dovrebbe essere il vero amore, donare senza cercare un ritorno, senza pretendere un riconoscimento. Più cerco e riconosco le orchidee, e più scopro il loro mondo complesso, un universo di intrecci e relazioni, per esempio le orchidee possono nascere solamente quando il loro seme che si deposita su una corteccia incontra un particolare micro-fungo che innesca il processo della germinazione. Questo concepimento non ha uguali in natura, infatti due organismi beneficiano entrambi dello scambio, ma nel caso dell’orchidea e del micro-fungo non è così, infatti all’orchidea serve il fungo per nascere e germogliare, mentre è ancora ignoto di cosa il fungo trae vantaggio o giovamento nel far dischiudere il seme dell’orchidea. Analizzando questo processo naturale da un punto di vista poetico, sembra che il fungo doni se stesso senza pretendere nulla in cambio, solamente per far sbocciare la bellezza nel prossimo futuro. P. Jean Paul, mi indica tre o quattro minuscole radici a stella, abbarbicate sulla corteccia di un albero, sono l’incipit delle orchidee, il primo germoglio che si trasformerà a breve in un lampo colorato che durerà pochi giorni, per poi decadere e radicarsi nelle gentili cortecce che le ospitano. In questo giardino curato d’Africa continuo ad apprendere nuove prospettive, osservando quotidianamente le numerose orchidee da quelle minuscole con i fiori somiglianti a mughetti, a quelle enormi che quasi fagocitano porzioni di alberi. E’ un’eterna primavera, perfetta ma allo stesso tempo così artificiale, solo le orchidee tendono a non farti perdere la via di questo viaggio, ricordandoti che il fulcro dell’intera esistenza rimane da cercare all’interno del proprio io, non facendosi distrarre dell’effimera bellezza o da primavere meccaniche. Il vedere questi giardini e colline ruandesi curati nei dettagli crea addirittura una cacofonia, non bisogna scordarsi che la natura ama il disordine e P. Jean Paul lo sa bene, scompigliando i piani dei giardinieri a causa delle varie orchidee che appende su tutti gli alberi del giardino, una vera e propria rivoluzione floreale. Le orchidee che mi ha regalato le ho portate a casa mia, anche io cerco di creare scompiglio nel mio appartamento, ma ormai il nuovo mondo non presta più attenzione a questi sfregi floreali, e chissà se queste orchidee sopravviveranno incarnandosi con la casa oppure verranno sradicate via da qualche giardiniere zelante. A questa domanda non ho risposta, ma queste lezioni di sintassi botanica mi hanno ancora di più reso figlio di quel crepuscolo che in terra equatoriale scompare immediatamente portando con se tutti i preziosi insegnamenti del giorno, donandosi interamente a questa terra d’Africa.