
Il cimitero è un tripudio di colori, esistono solo tombe colorate con le tonalità più sgargianti. Muratori e pittori si alternano turbinando come foglie d’autunno tra i sepolcri. Stormi di bambini fanno volare aquiloni correndo disordinatamente, saltando, e fermandosi solamente per degustare qualche leccornia che svariati venditori ambulanti offrono dalle loro bancarelle ubicate all’interno del campo santo. Mi ritrovo immerso in questa giostra di risa, colori e meraviglie, mi ritrovo fra la vita e la morte, la terra arsa ed cielo opaco, in un altro mondo dove la morte è convivio, ricordo e speranza. Tutto questo è un banale giorno dei morti in Mesoamerica.
Anche in Guatemala, come in molte parti dell’Africa, la morte è compresa, è parte di un tutto, non è la fine del viaggio, come ormai la nostra società occidentale la considera, esorcizzandola con vite focalizzate verso un’eternità terrena che non esiste e non può esistere. Anche la cultura della tomba, di pulirla, di abbellirla con fiori e candele, sta lentamente morendo, perché la gente non va più al cimitero, non osa più ricordare il defunto, pregare per lui. Mentre in luoghi, come Huehuetenango, paese sperduto nell’altopiano guatemalteco, il culto dei morti è ancora vivo. Vi è un cerchio ben definito tra vita e morte, un tempo circolare di greca memoria, che si nota dagli aquiloni portati in cielo dai bambini. Le nuove generazioni che fanno volare colorati aquiloni per creare un legame con il mondo ultraterreno che inizia negli strati dell’atmosfera, un legame tra realtà e metafisica, il quale fulcro è la gioia del fanciullo nel vedere volare il proprio costrutto policromatico. In questo modo, la memoria del defunto vince l’oblio ed il nulla, la morte diventa solamente un altro passaggio, non la fine di tutte le cose, non un male. Mi ricordo una serata, sulla spiaggia di Ngor, a Dakar, parlavo della morte proprio in questi termini, descrivendo esattamente queste sfumature, sottolineando che la morte non può essere un male, il male è quello che si arreca al prossimo, oppure non aver avuto l’opportunità di incontrare e vivere una persona, la morte è sola un’altra via, un’altra strada fra mille, non può essere la fine del viaggio. Ed il ricordo del defunto è nettare di cui cibarsi e nutrirsi, così facendo si dona nuova vita, innescando un circolo di ricordi e nuove azioni vivifiche. Ascoltato ciò la ragazza con cui interloquivo mi fissa con attenzione, prende un respiro, e come se fosse di fronte a quelle aurore che tutto dipanano, mi disse: “Tu sei l’unico che mi ha detto che la morte di Chiara non è un male”. Il proferire questa frase gettò una luce diversa sulla tragedia di Chiara e credo che tutti quei momenti che la ragazza visse assieme a lei, seppur pochi, riabbiano preso tonalità, vivacità, come il fuoco sotto la brace, la vera morte è lasciare che tutto diventi finissima e sottilissima cenere. Con le luci del tramonto gli aquiloni del cimitero di Huehuetenango giocano con gli ultimi strali di un sole smorto e freddo, ripennellando la realtà e le nubi di esuberanti colori, e tutti quei bambini che corrono e gridano sono gli artefici di questa giostra onirica. Uscendo dal cimitero mi sento vicino a questo mondo, come mi sentivo vicino ai funerali ghanesi, dove si celebravano con feste, musica, balli e lauti banchetti. Sono ormai distante da una società occidentale che guarda sempre più alla materia, tralasciando ed adombrando tutto ciò che è metafisico. Aristotele poneva come incipit della sua metafisica, la “materia prima”, quella potenza pura che permette il divenire, la trasformazione, il tendere verso un scopo. Questa tensione la si ritrova nell’aquilone che cerca di fuggire negli strati più alti del cosmo, nel bambino che cresce ed impara anche grazie alle memorie dei defunti. Tutto ciò, in queste terre periferiche del mondo attuale ancora vivifica. Uscendo dal cimitero, porto con me un sapere di cui già ero maestro, la polvere mi riporta alla nuda realtà, e so bene che nella polvere spesso i diavoli prosperano, ma le celebrazioni di questo giorno dei morti, mi hanno di nuovo condotto verso i sentieri dell’irrealtà, dove i gesti ed i dialoghi sono lenti, le parole hanno profonde radici che attingono ad acque ancestrali, gli sguardi ed i sorrisi dilaniano le scure ombre della sera e le scelte dei cammini intrapresi risultano lievi, come gli aquiloni che screziano questo cielo dell’altipiano.