Chiedilo all’arcobaleno

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Lentamente sotto il sole infuocato del Senegal, le contadine dei villaggi intorno a Kaffrine si appropinquano al caseggiato sgangherato dove sto aspettando per riceverle ed iniziare un incontro per avviare un progetto di maresaige, coltivazioni ortofrutticole. Come schizzi in un dipinto impressionista, le donne con i loro sgargianti vestiti colorano e prendono il proprio spazio in questo angolo arido alle porte del Sahara. La compostezza su come e dove si siedono, componendo così un arazzo multicolore, sembra seguire una legge atavica e immutabile della fisica coopernicana oppure è semplicemente il normale fluire delle fantasia che ama giocare mescolando colori, storie e speranze di ognuna di loro. Quando si parla alle donne c’è sempre qualcosa di più vero, ci si può fidare di più, i loro silenzi racchiudono tanti misteri, ma spesso sono solo pause per comprendere appieno l’argomento, quello che si intende esporre. La speranza è la prima cosa che traspare e trasuda dai loro vestiti colorati, infatti spesso le donne che vivono in contesti rurali sono oggetto di estrema vulnerabilità; non hanno accesso all’istruzione, ad adeguate cure mediche soprattutto durante la gravidanza, sono discriminate per quanto riguarda i diritti sul possesso della terra e sono oggetto di matrimoni precoci. Quindi progetti che mirano a lavorare con loro, possono realmente aiutarle ad emanciparle e renderle più forti. Tutti gli incontri che feci nei villaggi della brousse attorno a Kaffrine sono sempre stati accompagnati da questi pensieri e considerazioni e tramite Madame Aissatou, mia consulente e collega, che traduceva ogni mia parola dal francese al Wolof, riuscì piano piano a comprendere le donne colorate che mi stavano di fronte, saper interpretare i loro silenzi e costruire assieme a loro le attività che volevono implementare. Chiedendo ed ascoltando il loro linguaggio fatto anche di non parole, di pause e sguardi, appresi un nuovo modo di comunicare e soprattutto di costruire assieme una possibile attività progettuale. Anche lavorare con Madame Aissatou non fu semplice perché era la moglie di un ex Ministro del Senegal, una persona altolocata, una drianke, termine wolof per descrivere una donna importante. Molte delle riunioni che feci con lei si tennero nel suo appartemento di Dakar, ogni volta che vi entravo c’erano una o due ragazze delle pulizie che si adoperavano per mantenere l’appartemento un gioiello ed andavano ad annunciare la mia presenza a Madame Aissatou. Anche lei si presentava sempre con vestiti multicolori dal rosa al viola ed aveva sempre sul capo fular che la rendevono ancor più regale. Prima di poter lavorare proficuamente con lei ed essere sullo stesso piano, ho dovuto studiarne i tempi ed i suoi silenzi, chiederle anche spiegazioni sul perché ed il percome di certi suoi interventi in determinati incontri istituzionali ed informali. Però passo dopo passo, dialogando e studiandoci a vicenda, entrai nelle sue grazie ed altre porte della vita di Madame Aissatou si dischiusero. Conobbi la sua famiglia a Thiès, sedetti con lei in un soleggiato pomeriggio in un cortile di una casa floreale, discorrendo con lei e sua madre, un’anziana signora di un’eleganza impeccabile. Inoltre quando partiì dal Senegal mi organizzò a casa sua una cena d’addio dove c’era anche suo marito, l’ex ministro, fu una cena in cui riconobbi la sua amicizia e la sua disponibilità ad insegnarmi tanto sull’Africa ed il mondo femminile. Ricordammo i nostri viaggi verso l’Est del Senegal, nella regione di Kaffrine, dove la polvere e la sabbia possono soffocare e nascondere tutto, ma non la speranza multicolore delle donne, quello no. Negli anni a venire andando e venendo da Dakar non incontrai più Madame Aissatou e solo a distanza di anni capisco a pieno i taciti insegnamenti che mi diede, come quello di usare i silenzi per comunicare qualcosa, spesso le parole, anche le più belle, sono inappropriate. Recentemente, svolgendo una ricerca di campo in Ghana, mi sono imbattuto in un altro gruppo di donne. L’incontro è stato fugace, erano intente ad ascoltare il sindaco del paese che gli stava spiegando alcune attività da fare assieme a loro per aiutarle nel lavoro di tutti i giorni. Guardandole ho rivisto i vestiti multicolori, la speranza che traspariva ed ho ascoltato i loro silenzi carichi di risposte. Da lontano osservandole composte ma sedute in modo del tutto causale e non ordinatamente, sembrava di osservare un arcobaleno. Una volta a Londra un uomo, un mirabolante folle, mi fermo e mi invitò a guardare l’arcobaleno appena apparso in cielo, sono sempre rimasto stupito dal quel gesto, fermare un passante per strada per dirgli di sospendere quello che si sta facendo ed a cui si sta pensando per guardare l’arcobaleno. Una cosa inusuale, chiaramente fuori dalla logica del nostro mondo matematico. L’arcobaleno è qualcosa di magico, non può di certo essere spiegato solo come la rifrazione della luce e basta. Infatti a volte compare composto da decine di donne africane che sedendosi irregolarmente rifrazionano la loro speranza e voglia di fare per costruire un futuro migliore per loro e le loro famiglie, ma non solo. Possono anche insegnarti molte cose tramite i loro gesti o addirittura i loro silenzi, come Madame Aissatou, elegante e floreale signora di Dakar. Sei ha domande, dubbi, cerchi risposte basta saper ascoltare alcune donne, basta chiederlo all’arcobaleno.

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