Sono passati 40 giorni dal primo caso di coronavirus in Ghana, quaranta giorni trascorsi rinchiuso tra la mia stanza, il mio ufficio ed un campo da calcio in cui correre in solitudine. Fuori nella capitale Accra, c’è il divieto di uscire, lo si può fare solo per comprare beni essenziali, ma cosa consideriamo essenziale? Questo virus ci depriva della libertà di movimento, ma ci dona, forse come contrappeso, la possibilità di trovare l’essenziale nelle cose, che spesso si perdeva nella vita caotica di prima, così anche i progetti di sviluppo vengono spogliati del superfluo per riscoprirne l’essenziale rimodulandoli per poter comunque centrare l’obiettivo prefissato. Come si fa a riscoprire l’essenza se il mondo è solo un riflesso che fugge su vetrate spezzate? Se i ricordi sono solo momenti da impiccare sui rami di qualche albero morente? Ci vuole un differente punto di vista e soprattutto una differente percezione del tempo. Il virus ce le da entrambe. Ma anche in questi scenari apocalittici, nel vero senso etimologico della parola, cioè rivelatrici, infatti apocalisse non significa tragedia, ma per l’appunto rivelazione, esistono persone che sanno trovare l’essenza solo per nutrirsene, come vampiri. Sono rimasto colpito dalla storia di un imprenditore che ha tentato di truffare il Governo italiano per circa 15 milioni di euro, cercando di partecipare ad un bando per la fornitura di mascherine sanitarie senza averne le reali garanzie e possibilità. Come non può definirsi un vampiro una tale persona? La prima apparizione della figura del vampiro nella letteratura non è stata quella nel famoso libro Dracula di Bram Stoker, ma bensì avvenne addirittura settant’anni prima nei Promessi Sposi. Manzoni descrive nel suo libro anche la peste di Milano del 1630, proprio un’epidemia come quella che stiamo vivendo, nel turbinio di eventi che coinvolgono il protagonista Renzo, l’autore trova il tempo per raccontare di loschi figuri, quasi delle ombre indefinite che si muovono e raccolgono i cadaveri nel Lazzaretto di Milano. Un vampiro si trova pienamente a suo agio in una epidemia, dove ha mille opportunità per nutrirsi, e Manzoni, tramite le descrizioni di tali oscure figure che si occupano dei cadaveri, inserisce la figura del vampiro nel suo capolavoro, anche se pochi ne hanno colto e riconosciuto l’intenzione. Ma la metafora ed il pericolo del vampiro, ci può aiutare a trovare la via per cercare l’essenziale, la nostra essenza primordiale, trovare ciò che ha veramente importanza per noi, nelle nostre vite, una fonte dove si può rinnovarsi e risorgere allo stesso tempo, evitando di fagocitare tutto e diventare addirittura vampiri di noi stessi. A volte la nostra eterna fame di felicità ci conduce a consumare tutto, senza prenderci il tempo per assaporare il momento, gustarne la polpa e soprattutto “tagliare la lunga speranza”, come Orazio nel suo carme, il Carpe Diem, deliziosamente scriveva. Recidere il desiderio totale, la voglia di ottenere tutto il possibile, perché ciò in questa vita non è realizzabile, quindi non sarebbe meglio tagliare i molti desideri egocentrici e piuttosto godere dell’oggi? Questo tempo che ci viene concesso, ci permette di riflettere, ponderare sulle nostre scelte, le nostre vittorie ed i nostri sbagli, selezionando solo ciò che di buono abbiamo nel cuore e tagliando tutte quelle chimere che spesso sono erinni camuffate. Il mio essenziale ora è un ricordo di una spiaggia lontana ad Haiti, dove le nuvole sembravano provenire dall’oceano e l’oceano stesso sembrava un lago, il tutto era simile ad un’aula fuori dal nostro tempo, dove i miei maestri provavano ad insegnarmi la cultura dell’essenziale, non avrei immaginato che fosse il preludio di giorni di morte e di viaggio, ma lì su quelle rive sapevo dipanare il filo della speranza, tagliandolo ove fosse necessario, proprio come in questa quarantena. Ma è ovviamente difficile imparare a fare ciò, anche se buoni mentori come Orazio e Manzoni, sono sempre pronti a mostrarti la via, basta riprendere i loro scritti. Ed in questa ricerca dell’essenziale, non posso non citare un altro maestro, assolutamente più cupo degli altri citati, Fiodor Michajłowicz Dostojewski, che nel suo I fratelli Karamazov, descrive con cruda e crudele efficacia colui che ha una sete insaziabile ed agogna sempre di più. Tale descrizione riguarda un uomo assetato che in mezzo al deserto cerca di succhiare il proprio sangue per placare la sete. Un’immagine esplosiva che sintetizza ciò che ho cercato di raccontare, assaporare la vita come sorseggiare del buon vino sotto i pergolati d’uva raccontati d’Orazio, imparando a ritrovare l’essenza in ogni singola goccia, per evitare di ritrovarsi in deserti dell’anima bramando il proprio sangue, come un personaggio dei Karamazov.