Negli occhi di chi ci crede

IMG_20180808_173226Beatrice si appresta a lasciare il Senegal, dopo due mesi trascorsi a Dakar, cercando di capire la complessità di questo lavoro e magari sognare un giorno di farlo. L’ultimo giorno trascorso con lei è un giorno frenetico, tutti nella casa dei cooperanti di Dakar erano indaffarati ad impacchettare le proprie cose. Io sarei andato per la prima volta in Camerun, un lungo viaggio mi aspettava e lasciavo alle mie spalle due mesi di formazione con Beatrice e Leonardo dove avevo imparato anch’io molto e mi ero definitivamente appassionato all’arte dell’insegnamento. Quando studiavo filosofia al liceo classico mi era sempre balenata l’idea di poter insegnare, soprattutto poter insegnare i vari approcci alla vita; quello circolare spiegato nell’Ode all’urna greca di Keats, il Carpe Diem di Orazio o il Canto XXVI dell’inferno di Dante con la sindrome di Ulisse che assomiglia molto alla voglia di conoscere e spingersi sempre oltre del cooperante stesso. Da quei sogni strani fra i banchi di scuola di tanti anni fa ho avuto il piacere e l’onore di poter insegnare, di poter prendere per mano giovani che per la prima volta arrivavano in Africa e iniziarli al lavoro della cooperazione ed alla conoscenza dell’alienità che strega, inebria, coinvolge e ti cambia. Nel salutarmi Beatrice mi ringrazia e mi dice: “Grazie per come hai gestito questi due mesi, sono entusiasta di questa esperienza e come sai avrei voluto durasse di più! Ho ancora tanto da imparare eppure nonostante la sensazione di aver solo guardato dallo spioncino questo mondo, sento anche di aver appreso molto. Questo è stato possibile grazie alla tua disponibilità nel formarci ed alla passione che metti in questo lavoro, quello sguardo di uno che ci crede!, l’ho visto in te, credo sia questo che più mi ricorderò dello stage”. Queste parole mi sono rimaste nella mia mente e nella mia anima come scolpite, a volte le parole sono sfuggevoli come acqua piovana, ma ce ne sono alcune che pesano come macigni e non possono essere dimenticate, anzi sono semi da piantare nelle nostre coscienze con l’intento di farle crescere e fruttificare, sono quei momenti in cui realizzi all’istante che la cosa più preziosa che ti può capitare nella vita sono le relazioni umane autentiche e genunine. Lo sguardo di chi ci crede, l’ho visto anch’io molte volte e questa è una cosa bellissima che lascia intendere che c’è ancora chi fa la scelta di fare il lavoro del cooperante credendo di poter cambiare in meglio questa nostra società, soprattutto quella fuori dal nostro paese delle meraviglie occidentali. È veramente semplice riconoscere quello sguardo, l’ho notato subito in Tommaso, amico e collega, che lavora in Nigeria. Appena sceso dall’aereo nei suoi occhi c’era quella fiamma, quella voglia di far bene, confermata dalle difficoltà della propria vita in Nigeria, un posto complicato soprattutto dal punto di vista della sicurezza. Verrebbe spontaneo dirgli, ma chi te lo fa fare? Ma la voglia di poter incidere in una società e innescare un processo positivo, di miglioramento è superiore agli enormi ostacoli e problematiche che una persona come Tommaso può incontrare quotidianamente. Il medesimo sguardo lo incrocio sempre quando incontro il Compadre,  quella sua convinzione di far bene di IMG-20181015-WA0014credere in quello che si fa, si manifesta in ogni sua singola lenta azione. Una volta in Monzambico giravamo in macchina per le vie di Maputo e mi roccontava delle sue rinunce, di cosa e soprattutto chi aveva lasciato in Portogallo per intraprendere questa vita e questo lavoro e ne comprendevo il peso, sono assolutamente decisioni non facili. Un’altra fervida scintilla che ho potuto notare ed apprezzare è stata quella di Alice, una volontaria che ho avuto il piacere di ospitare in Ghana per qualche tempo. Durante un’autovalutazione messa alle strette su una domanda complessa riguardante il proprio futuro lavorativo, lei risponde in questo modo: “ Quando potrò sentirmi felice? Sono e sarò una persona realizzata e felice se riesco a spendere la mia vita per gli altri”. Tutto questo non per dire che chi fa queste rinunce sia migliore degli altri che non le fanno, nessuno ci ha obbligato a fare queste scelte e questo non ci rende speciali, è solamente una visione differente della vita quasi di stampo greco orientale. Studiando greco antico mi ha sempre colpito un frammento di Archiloco, poeta ellenico, il cosidetto frammento dello scudo. Il frammento poetico descrive un soldato durante la battaglia che getta il suo scudo e scappa ponendo in salvo la sua vita. Un’azione come questa nell’antica Grecia era considerata disonorevole, la morte in battaglia e soprattutto in giovane età era considerata una giusta fine. Si pensava quotidianamente alla morte ed a come sarebbe dovuta essere una buona fine della propria esistenza. Anche se Archiloco utilizza la sua poesia per scardinare questa visione incentrata sulla gloria in battaglia anzichè preservare e godere della vita, io vi ho sempre colto l’attenzione greca per la propria fine, la propria morte. Molto spesso in Occidente si ha una concezione della vita infinita, la morte è uno spauracchio da esorcizzare in qualunque modo, ci autoconvinciamo di essere infiniti ed eterni e non ci si prepara minimamente alla nostra fine naturale. Saper morire, accettare la morte ci rende consapevoli delle azioni quotidiane che facciamo, ci rendiamo conto che le nostre azioni hanno un peso, non sono semplici comportamenti sconnessi dal tutto, ma al contrario ogni nostra azione ci può rendere protagonisti del fare bene, che si traduce nel miglioramento delle società in cui viviamo. In quest’ottica pensare alla propria morte, al giorno in cui non ci saremo più e si soppeseranno tutte le nostre azioni è molto importante perchè ci sprona sempre a scegliere per il meglio e soprattutto in un‘ottica altruista, infatti non avrebbe senso incentrare tutti i nostri sforzi su noi stessi in quanto un giorno non ci saremo più, una buona azione è sempre rivolta verso il prossimo. Non abbandonare lo scudo significa per Tommaso vivere in Nigeria limitando la propria sfera dello svago e del divertimento quasi a non averla o significa per il Compadre abbracciare un bambino di strada nei quartieri difficili di Luanda o per Alice vince le sue paure e lasciarsi trasportare dai suoi sogni altruistici ed il giorno che questi scudi si frantumeranno, tutte queste persone non avranno rimpianti per averlo indossato, privandosi al contempo di molte cose, perché in fondo è una scelta di vita, è credere in una vita fruttuosa per gli altri ma anche per se stessi, è una vita spesa bene

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