Passeggiate africane

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Nell’altipiano fa freddo al tramonto e passeggiando fra gli arbusti della savana tanzaniana si riscopre il piacere di perdersi fra pensieri e passi, senza sapere esattamente dove si va, ma facendosi cullare e trasportare dai propri sentimenti e riflessioni. Vi è un termine preciso francese che indica questa attitudine e comportamento; la flânerie, ed anche in Africa, anche in questo complesso mondo dove a volte è difficile anche camminare si può essere dei mirabolanti e sognanti flaneur. Il sole in Tanzania è enorme, ti ipnotizza e ti trascina a forza a contemplarlo mentre muore in mezzo alla savana. Ogni crepuscolo passato nel villaggio di Nyololo andavo a gustarmi il tramonto, andavo ad appendere tutti i miei dolori minuziosamente ad ogni raggio di sole morente che riuscivo a cacciare, dimodochè potevo vederli ardere e provare a scordarli per sempre. Ogni sera passavo di fronte alla casa del dottore del villaggio, ogni sera mi sorrideva e salutava sempre stupito perché mi addentravo nella savana da solo. Ad ogni suo saluto rispondevo con una semplice frase in lingua swahili; Angalia Jua, guardo il sole, vado a guardare il sole che muore, mi scrollo di dosso i miei dolori, li sacrifico ad un futuro ignoto e mi faccio abbracciare dalle fredde membra della notte australe. A Dakar passeggiare sulla corniche, la strada che costeggia il mare sulla parte occidentale del suo promontorio, fa provare altre sensazioni. Quando arrivi a Ngor e vedi la sua costa frastagliata in preda ad una mare di color argento vivo, lì ti è concesso gettarvi l’amore e riprenderlo, quante volte lo desideri. D’altronde si sa, Dakar è une ville magique, una città magica. Ho più volte pescato e lasciato andare l’amore a Ngor, non curandomi di quante volte l’ho fatto, perché a compensare la perdita del sentimento c’è la bellezza dell’Oceano che ancora non diventa forte e burrascoso a questa latitudine e può carezzarti con compassione. Le campagne della regione ghanese della Brong Ahafo hanno colori pastellati e raggi di luce che tagliano il paesaggio donando sfumature che mi ricordano i boschi europei e la mia infanzia. Queste campagne sono uno scrigno di ricordi e piccoli sogni, ad ogni passo ne puoi scoprire e rivivere uno. Lento è l’incidere, melenso il pensiero perché si appiccica al passato, a quello che eravamo, alle persone amate che non ci sono più. Non è semplice addentrarvisi se non si possiede un buon discernimento per dividere passato, presente e futuro. Luoghi come questo possono addensare e far vivificare ricordi perduti, splendenti come i raggi del mezzogiorno, taglienti e vacui come quelli caduchi del crepuscolo. Ma in questi anni la passeggiata più piccola, più enigmatica è quella che collega la casa dei salesiani di Kribi in Camerun all’oceano. Un sentiero di campagna con docili e minuscoli declivi che conduce ad una larga spiaggia. Di sera la sabbia si copre di onde rosse che al tuo avvicinarsi scompaiono, sono dei piccoli granchi rossi che escono dalle loro tane per raggiungere il mare ed al tuo passare si rinfilano di gran fretta nelle loro tane. Il tramonto a Kribi sembra un quadro romantico dell’ottocento, i suoi colori incenzano la grandezza di Dio e del creato. Ci si sente piccoli, ogni passo sulla sabbia è un passo di comprenzione. A Kribi puoi portare domande e ricevere risposte. I tronchi sulla spiaggia, cadaveri di fulgenti alberi africani ci ricordano di quanto siamo effimeri, di quanto il male può essere vivo e facile da commettere. Mentre il bene, il condividere, il donarsi sono cose ardue e complicate, non sempre ne siamo oggetto e spesso non siamo in grado di attuarle. Passeggiando c’è sempre il momento di voltare le spalle ai pensieri, ai sentieri ed ai sogni striscianti, quando è tempo di tornare a casa. Volto le spalle alla savana selvaggia, alle coste frastagliate dell’Atlantico, ai declivi di campagne, ai fulgenti colori di Kribi. Ritornando a casa faccio tesoro delle piccole scoperte, dei pensieri rubati al passato, delle ferite sanate. Aspetterò ancora che l’Africa mi prendi per mano, di riscoprirmi un flaneur per poi come Jean Jacques Rousseau, provare a scrivere ciò che si prova e che si è trovato sui sentieri esplorati. Ogni passo ci può avvicinare ad un sogno o più semplicemente farcelo obliare.

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