Discendere nell’oscurità, nelle strade di Freetown a notte fonda, dove è difficile vedere anche dove mettere i piedi. La zona del mercato a notte fonda è dismessa e l’immondizia, il lezzo e le anime perse della città prendono ulteriore vita. E’ difficile immergersi in queste tenebre ed uscirne pulito come prima. Sto seguendo il social team del Don Bosco Fambul che opera durante la notte cercando i bambini di strada, incontrandoli, parlandoci, tentando di instaurare il primo contatto per poi invitarli nel centro, riabilitarli e reintegrarli in un percorso scolastico e nelle loro famiglie di origine, se ne hanno. Un’esperienza forte di quelle che intaccano per sempre la tua percezione della vita. Si possono toccare fisicamente le tenebre, il vento ed il male creato dagli esseri umani. Il lezzo del mercato dismesso misto ad urina è insopportabile, permea tutto, fa girare la testa. Ed in questo ambiente compaiono le prime anime perse, i primi fantasmi di Freetown, dimenticati da tutti e da tutto. Dietro i banchi dismessi siedono quattro ragazzi nella più assoluta oscurità e dalla quale difficilmente ne verranno fuori. Sono quattro ragazzi ciechi che si supportano a vicenda e passano la loro vita elemonisando per strada. Tutti li hanno abbandonati. In paesi come la Sierra Leone non vi è un’assistenza per disabili e le stesse famiglie vedono la disabilità come un peso. Se sei disabile non puoi apportare nulla alla famiglia, sei un peso, è la famiglia che dovrebbe prendersi cura di te, ma in famiglie dove regna la povertà ed il numero di figli è 5 o 6 o persino di più, prendersi cura di un disabile è un lusso che la famiglia stessa non può permettersi. Così è la strada che si prende cura del disabile, adagiandolo in una soffice coltre di tenebra fino alla fine dei suoi giorni. Ci raccontano le loro storie, come sono diventati cieci, uno di loro solamente perché raccogliendo un pallone in un cespuglio si ferì gli occhi con dei rovi, magari semplici ferite che curate subito non avrebbero comportato la perdita della vista. In queste tenebre essere cieco è qualcosa di cui non mi capacito, che mi spaventa solo a pensarci. Ci salutano intonando una canzone all’unisono, una canzone che resta e si radica nelle nostre anime. Mi chiedo come possano vivere, di cosa possono nutrirsi, come possano lontanamente essere felici in un inferno in terra come questo. Il nostro viaggio nelle viscere del nero mostro continua, incontriamo un altro fantasma, una ragazza. La ragazza è stata nell’ostello salesiano per le ragazze abusate e sfruttate, ma una volte uscita non è riuscita ha ritrovare la sua strada. Riconosce Fr. Emmanuel lo bracca ed inizia a parlarci. Ora vive di nuovo in strada e per l’aggiunta è anche incinta. Lo sconforto, la tristezza solcano il giovane viso della ragazza. Lo scavano senza premura, rendendo ancora più distante lei da questo mondo fatto di cenere, carbone e nera pece. Mentre parliamo con la ragazza si avvicina un piccolo bambino, avrà avuto 6 o 7 anni, è passata mezzanotte ed ancora per strada. La gente ci rassicura che ha una madre e non è un bambino di strada. Fr. Emmanuel ci racconta che presto lo sarà, è un border line, infatti se a quest’ora tarda della notte è ancora in giro presto si unirà ai gruppi dei bambini di strada, è evidente che la madre non se ne prende cura a dovere. Un altro piccolo fantasma si aggirerà per queste strade. Ma l’incontro più toccante è quello con un altro bambino circa dieci anni, non cammina bene sembra ubriaco. Parlandoci un po’ si capisce che ha fumato della droga e non cammina bene per questo. Barcolla, ride e continua a mangiare un lercio pezzo di pane. Fr. Emmanuel lo invita a presentarsi al Don Bosco Fambul solamente per tagliarsi i capelli crespi, pieni di terra e sporcizia. Infatti i bambini di strada si riconoscono così, dalla quantità di terra presente nella loro testa. A volte purtroppo non si trova solamente la terra ma anche reali ferite sanguinanti. Uno dei bambini presenti al Don Bosco Fambul, che ho conosciuto in questi giorni, si chiama Usman. Avrà 7 o 8 anni. Fu trovato vicino al porto ed assieme alla sporcizia ed alla terra nei sui capelli aveva una profonda ferita da cui sgorgava sangue rappreso. La nonna lo aveva picchiato chissà per cosa e viveva da circa un mese nei pressi del porto mangiando quello che racimolava dai pescatori. La sua fortuna è stata quella di incontrare Fr. Emmanuel ed il suo team, ora nel centro Don Bosco Fambul avrà una possibilità di ritrovare la sua vita, ma la ferita, la cicatrice è ancora lì sulla sua testa e non solo. Continuo a mirare come fossi ipnotizzato il bambino barcollante e sorridente e più lo guardo e più provo dolore. Un’infanzia rubata, strazziata, lacerata che stagnerà nelle tenebre di questa città germinando sofferenza e male. Il bambino non verrà il giorno seguente al centro Don Bosco Fambul e non so se mai verrà. Ora è ancora segregato nelle viscere di Freetown con i fantasmi come amici ed orchi a controllarlo. Risalendo in macchina e tornando a casa i pensieri si accavallano, mi rendo conto non per aver dato ascolto a qualche maestro, ai miei genitori, ai libri di scuola che noi nell’Occidente siamo fortunati ed abbiamo tutto, ma perché ho visto e soprattutto toccato con mano la tenebra più nera vagando per le buie strade del mercato di Freetown. Anime perse che forse non avranno neppure una sola possibilità nella loro vita di salvarsi, di provare un timido e tiepido raggio di felicità. E’ un’offesa a queste persone quando penso od ho pensato che la mia vita fosse triste per un momento o che quel determinato problema fosse insormontabile perché la tristezza ed i problemi insormonabili sono; l’essere ciechi nelle tenebre di Freetown, essere un bambino drogato che vive per strada, essere una ragazza violentata ed incinta senza dimora, vivere nella parte più scura di Freetown dove oltre all’oscurità vi è un gelido vento che congela la tua vita, le tue speranze e l’ultimo barlume di luce rimasto nel tuo cuore.