Non puoi comprendere cosa sia la guerra fintantoché non la vivi o vedi cosa ha lasciato dopo il suo passaggio. Ho studiato le guerre civili liberiane durante l’università ed ho sempre desiderato vedere questo paese, nato da schiavi liberati provenienti dall’America nel 1847 che invece di costruire una società equa e fondata sulla libertà ed i diritti dell’uomo, crearono e prepararono un ambiente ideale per i numerosi diavoli che avrebbero dilaniato questo angolo d’Africa. Passeggiando per Monrovia appena ti allontani da 8th Street, la strada principale, ancor si possono vedere vari edifici sventrati dalle bombe o neri come la pece perché bruciati dal fuoco. L’ultima guerra civile è terminata nel 2003, ben 14 anni fa ed ancora il paese non si è ripreso. E’ incredibile vedere le tipiche bancarelle africane che vendono mercanzie per la strada, alcune di esse hanno solo 4 zucchine di numero, altre vendono alcuni barattoli con un liquido giallastro. All’inizio pensavo che fosse miele mentre era semplicemente benzina, la gente compra questi barattoli di benzina perché non può permettersi di fare un pieno per il proprio motociclo o autovettura, acquista solo il necessario per i brevi spostamenti nella capitale. Parlando con le gente e soprattutto con due salesiani che conoscono molto bene la Liberia mi addentro sempre più in questo paese che sembra una fotocopia sbiadiata del Mississipipi dei primi del Novecento. Il primo è Fr. Albert, un liberiano che ha studiato a Roma, parla un ottimo italiano ed un inglese con un forte accento americano, infatti qui tutti parlano uno strano slang proveniente proprio da quei primi schiavi liberi che giunsero sulle coste della Liberia. Fr. Albert mi spiega i vari risvolti di questo paese, concentrandosi sui modi di fare e le tradizioni. Tutto è un’eterna imitazione di un America, una terra promessa che ha ancora un forte legame di tipo economico con il paese, pur non essendo mai stata una colonia la Liberia, unico paese di tutto il continente a non esserlo, è come se fosse sempre stata una colonia ombra statunitense. Mi soffermo a parlare del cibo, i pasti sono prevalentemente costituiti da riso e chiedo a Fr. Albert da dove provenga, mi risponde che è quasi tutto importato e che su ogni sacco di riso importato il governo impone un’imposta che per lo più va ad ingrassare le loro tasche. La povertà è presente e costante appena ti addentri nelle viuzze di Monrovia; “un pasto è una benedizione” sentenzia Fr. Albert. L’altro salesiano è Fr. Sony, un indiano slanciato e di nobile aspetto. Con Fr. Sony sono solito passeggiare alla sera nel cortile della scuola di Don Bosco, parlando della storia politica del paese, che ha visto due guerre civili contrapponendo gli americo-liberiano, i discendenti degli antichi schiavi liberati dall’America, ed i nativi della costa. Dopo anni di oppressione e di mancanza di diritti, per esempio solamente nel 1963 i nativi hanno avuto il diritto di votare, un golpe di stato, portato avanti dal Sergente Samuel K. Doe, ha sovvertito gli equilibri del paese. Doe fu il primo presidente della Liberia non americo-liberiano che guidò il paese come un dittatore fino a che scoppiò la prima guerra civile nel 1989 iniziata dagli americo-liberiani comandati da Charles Taylor e Prince Johnson per spodestare il ribelle Doe. Gli orrori si susseguirono. Ancora oggi nei giornali locali ci sono casi di crimi di guerra riportati, la giustizia non è stata assolutamente fatta. Commandi che hanno stuprato e trucidato persone o interi villaggi erano all’ordine del giorno. Fr. Sony racconta queste storie con dettagli incredibili, ormai è un liberiano di adozione, ci vive da più di 4 anni ed ha anche affrontato l’Ebola. L’ebola è stata un’ulteriore mannaia per questo paese che stenta a riprendersi. Mi racconta come durante l’epidemia vari ospedali chiusero, perché morirono tutti i pochi medici che vi lavoravano, praticamente si contano sulle dita di una mano gli ospedali in Liberia e non erano assolutamente pronti per affrontare un’epidemia di tale portata. Ma la cosa più incredibile è che molti morirono non a causa dell’ebola, ma per paura del contagio. Infatti molte persone non prestavano cure, pensando che il malato avesse contratto l’ebola, mentre era malaria o tifo. Molti dei circa 5.000 morti per l’epidemia sicuramente sono morti per altre malattie facilmente curabili come la malaria. Fr. Sony è un uomo molto colto e non parliamo solamente del triste passato liberiano ma anche del nostro presente, della nostra esperienza di vita in Africa che ci ha cambiato, fortificato e radicato in valori che lentamente scompaiono e si perdono fra sogni di vita sperata. Ogni volta che finiamo una delle nostre chiaccherate notturne, lo ringrazio; “ Fr. Sony, thank you for the talks” lui ricambia, ride e si congeda chiosando così la notte che si abbruma. Per la Liberia è di nuovo tempo di elezioni, Ellen Johnson Sirleaf, premio nobel per la pace nel 2011, sta terminando il suo mandato. Se di lei avevo un’immagine positiva e di speranza, parlando con la gente del posto e vedendo com’è la Liberia dopo 12 anni di suo governo, mi devo ricredere. C’è chi l’accusa di aver continuato a perorare la causa degli americo-liberiani non facendo nulla per il paese, nessuna infrastruttura, nessuna ripresa economica, ma c’è anche da sottolineare che per ben 12 anni la pace è perdurata e questo è un dato inconfutabile ed importantissimo. Il popolo chiama a gran voce, George Weah, ex calciatore famoso, che proviene dagli slum di Monrovia e si è fatto da solo, un nativo liberiano. Ha già perso le due precedenti elezioni e sicuramente passerà al secondo turno giocandosela con il vice presidente attuale, Joseph Boakai. Fr. Albert afferma che ovviamente non ha studiato e non può essere una persona acculturata, ma proviene dagli slum ed avrebbe potuto facilmente azzaire una ribellione negli anni passati ma non lo ha fatto ha creduto nella democrazia. Ho visitato anche uno di questi slum di Monrovia, Matadi, dove i salesiani hanno un’opera sociale. Il giorno in cui ci sono stato era piena di giovani che giocavano, cantavano o facevano sport. Fr. Albert mi dice che questo tipo di attività sono importantissime perché tolgono i giovani dalla strada, dalla violenza e dalla droga. Mi soffermo a vedere un gruppo di ragazzi che inscena una manifestazione elettorale, tutto è incentrato sulla parola pace, i giovani vogliono la pace e lo sviluppo per questo paese; “ We stand for peace in Liberia” recita un cartello. Fr. Albert annuisce, io guardo il cielo che si pastella di un colore ambrato tipico dei tramonti della costa occidentale dell’Africa. La parola pace è l’esatta chiosatura di questa riflessione e di questo breve viaggio nella Terra che cerca ancora la sua Liberta.